Capitolo 5 Cosmologia
 

Nebulose   Planetarie   d'intracluster

Cinquant'anni fa Fritz Zwicky scoprì un eccesso di luce tra le galassie dell'ammasso di Coma. Questa luminosità intracluster è estremamente debole, appena più brillante di quella del cielo notturno. Per molto tempo la sua natura è rimasta sconosciuta, ma lo sviluppo di moderna strumentazione e di telescopi di crescente apertura offre nuove opportunità d'indagine.
      In particolare, utilizzando camere CCD a grande campo (30'×30') operanti al telescopio di 2.2m di diametro a La Silla (Cile) e più recentemente al telescopio di nuova generazione Subaru di 8m di diametro, operante alle Hawaii, un gruppo di ricercatori dell'OAC ha ottenuto immagini di una profondità senza precedenti in alcune aree "vuote", ossia prive di galassie, dell'ammasso della Vergine. Utilizzando tecniche particolari è stato possibile identificare, tra le molte migliaia di stelle deboli della Via Lattea e tra le galassie di sfondo, un piccolo numero di Nebulose Planetarie (PNe) "apolidi", che non cioè appartengono ad alcuna galassia in particolare e che sono dunque membri isolati dell'ammasso della Vergine.
      Nella Galassia le Nebulose Planetarie - stelle nell'ultima fase dell'evoluzione, nella quale espellono gli strati esterni in un volume di circa 1 anno-luce di diametro - possono essere osservate in grande dettaglio e fornisco splendide e suggestive immagini. Alla distanza della Vergine, invece, esse appaiono puntiformi e possono essere identificate solo perché concentrano una gran parte della loro luce in due righe verdi dello spettro dell'ossigeno. E anche così esse appaiono estremamente deboli: l'energia ricevuta nelle righe dell'OIII corrisponde a quella di una lampadina di 60 Watt vista a 10 milioni di km di distanza, circa 20 volte quella della Luna. Nel caso delle osservazioni ottenute al telescopio Subaru, l'enorme potere collettivo dato dalle notevoli dimensioni dello specchio, ha permesso di rendere tale ricerca molto più efficiente, utilizzando l'informazione proveniente da diverse regioni dello spettro di emissione di tali oggetti, in particolare studiando l'emissione delle righe Ha con opportuni filtri a banda stretta ("narrow-band"). Le PN di intracluster scoperte nell'ammasso della Vergine hanno una distribuzione altamente disomogenea.
      Quale può essere l'origine di queste stelle apolidi? L'interpretazione che oggi appare più probabile è che siano state perse in violente interazioni tra le galassie ("harassment") al momento della formazione dell'ammasso, quando le galassie erano molto più vicine l'una all'altra. Per verificare tale possibilità, il gruppo di ricerca di questo osservatorio ha effettuato uno studio teorico basato su simulazioni cosmologiche ad alta risoluzione di formazione ed evoluzione di un Ammasso di galassie simile a quello della Vergine. In queste simulazioni ad N-corpi è stata individuata e seguita per la prima volta l'evoluzione di una popolazione stellare diffusa nello spazio d'intracluster. Di tale popolazione sono state studiate le proprietà delle loro velocità (mediante caratterizzazione delle distribuzioni di velocità) e della loro distribuzione nel volume occupato dall'ammasso. In questo modo s'è dimostrato che queste stelle, una volta abbandonate le proprie galassie d'origine, tendono a sopravvivere in strutture più o meno filamentose per diverse centinaia di milioni di anni, prima di essere distribuite uniformemente nell'ammasso a causa dei loro moti nello spazio governati dal potenziale gravitazionale dello stesso ammasso. Il confronto con i dati reali ha mostrato che i cataloghi di candidati finora estratti nella Vergine hanno un grado di raggruppamento ("clustering") compatibile con una popolazione stellare diffusa originatasi circa 1 miliardo d'anni fa a seguito di eventi di harassment.
      Il programma osservativo è in costante progresso e finora ha consentito di individuare circa un centinaio di PNe d'intracluster in 4 differenti regioni intorno al centro dell'ammasso della Vergine. Questo ha consentito di studiare le caratteristiche di questa particolare popolazione di stelle fino ad una distanza di circa un milione di anni luce dal centro di questo ammasso di galassie. In particolare è stato trovato che queste stelle non devono essere più del 20% di tutte le stelle presenti nelle galassie dello stesso ammasso. Una quantità tutto sommato considerevole che finora era stata trascurata in tutti i censimenti di materia luminosa nell'Universo. Tuttavia la loro distribuzione è tutt'altro che omogenea, anzi la densità di questi oggetti può variare anche del 80-90% da regione a regione, evidenza che conferma un carattere estremamente locale dei meccanismi che hanno strappato queste stelle alle loro galassie di origine.
      Per quaranta di questi oggetti è stata misurata la rispettiva velocità radiale utilizzando il telescopio di nuova generazione VLT di 8m di diametro. Questi ultimi dati sono in via d'analisi e ci si aspetta che insieme alle informazioni sulla loro distribuzione tridimensionale permetteranno di delineare in maniera sempre più accurata l'origine di questi misteriosi astri "senza fissa dimora" e confrontare i risultati con le previsioni dei modelli ad N-corpi.

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