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esposizione

scheda sintetica


DE SPHAERA MUNDI

Venezia, 1488

I. Sacrobusto

supporto cartaceo
oggetto: tavola silografica
incisione silografica
20x14

L'opera del Sacrobosco: un classico della letteratura astronomica medioevale

L'edizione veneziana del De sphaera mundi di Giovanni Sacrobosco, datata 28 (o 30) febbraio 1488 (come si evince dal colophon), si apre con una tavola silografica, realizzata presumibilmente nello stesso periodo in cui fu stampato l'incunabolo.
Incisa sul verso della prima carta, secondo il principio di estetica grafica dell'apertura (opening), l'immagine è priva di legenda (dedica, titolo e sottoscrizione) e di informazioni relative al testo. Per tale motivo, essa non costituisce il frontespizio dell'opera, che cominciava ad affermarsi lentamente proprio sul finire del Quattrocento; rappresenta, piuttosto, una straordinaria anticipazione dell'antiporta secentesca. La xilografia, infatti, costituisce un'attraente "facciata" per il prodotto tipografico e, al contempo, traduce in immagine il contenuto di carattere astronomico del testo. Tali esigenze, sempre più avvertite dai tipografi e dagli editori, furono soddisfatte, a partire dai primi anni Seicento, dall'illustrazione in antiporta.
Le notizie relative all'edizione tipografica del libro sono conservate nel colophon. E' interessante scorrere le poche righe stampate sul recto dell'ultima carta, dove lo stampatore, che non si cita affatto, accanto all'anno e al luogo di stampa dell'opera, saluta con entusiasmo la recentissima invenzione tedesca dell'arte tipografica: "Anche questo singolare opuscolo di scienza astrale è stato pubblicato per mezzo di quella magnifica arte ultimamente divulgata dall'ingegno germanico e cioè con la stampa tipografica. Il giorno prima delle calende di aprile. Nell'anno 1488. A Venezia" (Hoc quoquae sideralis scientiae singulare opusculum / mirifica illa arte nuper ingenio germanico / in luce prodita impressione videlicet / Prididie calen. Aprilis. Anno Salutis MCCCCLXXXVIII. Venetiis).
Invoca, poi, Urania, Musa dell'Astronomia, alle quale dedica un carme: "Versi di lode impressi su questa piccola opera. O Urania per quanto ammettono di doverti, tutti gli abitanti di Canopo: gli astri scoperti…da Giovanni proveniente dalla città di Santritter…le forme così devono [essere] scoperte per te. Né meno di questo devono a te tra i Santi Girolamo. Questi ti associo: infatti questo li trova e tu li dividi" (Carmina in impressorum huic opusculi laude. Uranie quantu quantu debere fatentur, cuncta canopeo: cognita quae astra viro / Santritter helbronna lucili ex urbe Iohannes / Schemata sic debent ipsa reperta tibi / Naec minus haec tibi de Sanctis hieronyme debent / Quam socio: namquae hic invenit ipse secas).
I riferimenti all'antico Egitto (Canopo era una città del Basso Egitto, sulla foce occidentale del Nilo e per metonimia indica anche Basso Egitto o Egitto) e a Iohannes, senza dubbio Giovanni Sacrobosco, autore dell'opera, descrivono qui un'ideale parabola che accomuna addirittura Tolomeo, nato probabilmente a Tolemaide d'Egitto nel II secolo d. C., all'astronomo e matematico inglese, sancendone l'autorevole posizione nell'ambito dell'astronomia, e facendolo definire "scopritore di astri". In realtà, il Sacrobosco non scoprì mai nuovi corpi celesti, ma di sicuro fu uno dei maggiori studiosi di Tolomeo e dei suoi commentatori arabi del XIII secolo, soprattutto Al-Battani e Al-Farhani.
Il De sphaera mundi, l'opera cui è maggiormente legata la fama del canonico agostiniano, compendia il celebre testo tolemaico (Almagestum) e si divide in quattro capitoli. Il capitolo I definisce la Terra come una sfera immobile, posta al centro del firmamento, secondo il sistema tolemaico-aristotelico; nel capitolo II, sono spiegati i vari circoli, equinoziale, celestiale, il primum mobile, l'eclittica dello zodiaco, etc.. Il capitolo III si conclude con una discussione sui sette climi; il movimento del Sole e dei pianeti allora conosciuti, le cause delle eclissi lunari e solari, formano il capitolo IV. L'opera ottenne un grande successo, godendo di una fama che lo rese un classico dell'astronomia fino alla fine del 1600; spesso apparve sotto forma di commento, a cura dei più eminenti scienziati del XIV, del XV, del XVI e del XVII secolo, tra cui si ricordata almeno la versione realizzata da Cristophoro Clavio nel 1570.
Dopo l'Astronomica di Manilius, infine, la Sfera fu il primo libro di contenuto astronomico ad essere dato alle stampe (G. Sacrobosco, De Sphaera Mundi, Ferrarae, 1472).
Per tornare alla tavola silografica, essa presenta un'iconografia chiara, che allude evidentemente al contenuto del testo: l'allegoria dell'Astronomia, una giovane donna abbigliata secondo la moda rinascimentale, è assisa in trono, stringe nella mano sinistra una sfera armillare e con la mano destra sembra protendere un antico astrolabio verso Urania (l'Astronomia - un tempo non disgiunta dall'Astrologia - ha per attributo, dai tempi di Marziano Capella in poi, il globo; suo attributo specifico è il sestante, usato in origine per misurare l'altezza degli astri; talvolta ha tra i suoi strumenti la sfera armillare). La Musa, posta sulla destra dell'Astronomia, è rappresentata in scala metrica minore rispetto agli altri due protagonisti della scena: coperta appena da un drappo succinto e col capo coronato d'alloro, dal corpo privo di rilevanti particolari anatomici, rivolge il suo sguardo verso l'alto, portandosi una mano agli occhi come per proteggerli dalla luce del sole. Dal capo della donna seminuda, inoltre, si snoda un cartiglio che reca la scritta "Urania Musa Caelestis". A sinistra dell'Astronomia, invece, compare la figura di Tolomeo. Anche in questo caso, il solito cartiglio ci permette di fugare ogni dubbio relativo all'identità della figura senile e barbuta: "Ptolomeus Princeps Astronomorum". L'astronomo alessandrino è abbigliato come un mago orientale, in quanto magia e scienza costituivano un intreccio ancora difficilmente districabile, presenta una corona adagiata sul capo, ad indicare che è princeps o rex astronomorum, e tiene aperte sulle ginocchia le pagine di un libro, su cui si intravedono alcune figure geometriche. Il libro, probabilmente il suo Almagestum, allude all'atteggiamento teorico nei confronti dell'astronomia, in contrapposizione a quello di Urania, simbolo di un atteggiamento più incline alla pratica osservativa. Ai piedi dei tre illustri personaggi, si apre un'amena vegetazione popolata di piccoli animali, cervi, conigli e lucertole, che sembrano muoversi indisturbati. Nella parte superiore, invece, è rappresentata la volta celeste, trapunta di piccole stelle simili ad asterischi, che si dispiega tra il Sole e la Luna. Il primo presenta il volto di un fanciullo, che irradia luce, e la seconda il volto di una giovane donna, che sembra rivolgere uno sguardo benigno alla Terra.
L'intera composizione è racchiusa in una semplice cornice fortemente stilizzata.
Le figure dinoccolate, disegnate ed incise a grandi tratti, sono animate da una rozza vivacità. E' assente, inoltre, la ricerca di giochi d'ombra e di luce. Ancora concepita per determinare una fantasiosa decorazione in superficie, la composizione è estremamente ricca dal punto di vista naturalistico e del costume; ma dedica scarsa attenzione al dato prospettico, presentando figure appena scalate in profondità. Dobbiamo ricordare che, invece, l'incisione e la pittura erano già da tempo avviate ad esaltare la plasticità della figura umana e a riprodurre uno spazio misurabile in profondità, organizzato secondo le leggi della prospettiva.
I riferimenti all'arte nordica, fiamminga in particolare, sono piuttosto evidenti: il microcosmo di animali e vegetali si coniuga al macrocosmo rappresentato dagli elementi celesti (Sole, Luna, stelle), attraverso un naturalismo ancora estraneo alla cultura figurativa italiana della fine del Quattrocento. Il fatto che l'opera sia stata stampata a Venezia non deve dissuaderci dall'ipotesi di una possibile attribuzione dell'anonima silografia ad un maestro d'oltralpe; infatti, fu anzitutto la Germania, patria dell'arte tipografica e di una fiorente industria silografica, che adottò la consuetudine di illustrare con silografie ogni tipo di libro. Intanto, sul finire del Quattrocento, molti incisori e tipografi tedeschi lasciarono il proprio Paese per andare ad esercitare il "mestiere" altrove, soprattutto in Italia; nel fare ciò, essi portarono con sé legni incisi o ne incisero di nuovi, così che le silografie dei primi libri stampati in Europa risultano essere spesso di fattura tedesca o fiamminga.
L'intera composizione, infine, ricorda l'impaginazione della tavola centrale di un polittico quattrocentesco, cui si ispira anche dal punto di vista iconografico; infatti, le straordinarie Sacre Conversazioni con Madonna assisa in trono col Bambino e i Santi, che hanno fortemente caratterizzato la pittura sacra del Quattrocento e del Cinquecento, hanno costituito senza dubbio un precedente iconografico fondamentale per la nostra tavola (il motivo della Madonna in trono, col Bambino e i santi, costituisce uno dei soggetti iconografici più diffusi nella pittura del Quattrocento e del Cinquecento. Splendidi esempi a tal proposito ci sono offerti da artisti come Filippo Lippi - Pala Barbadori, 1438-, Domenico Veneziano - Pala di Santa Lucia de' Magnoli, 1445-1447 -, Andrea del Castagno - Madonna di Casa Pazzi, 1445 -, Giovanni Santi - Madonna, santi e committente, 1489 -, Lorenzo di Credi - Madonna e santi, 1485 -, Cosmè Tura - Pala Roverella, 1470-1474 - , e tanti altri).