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esposizione

scheda sintetica


NOVAE COELESTIUM, TERRESTRIUMQUE RERUM OBSERVATIONES

Napoli, 1646

F. Fontana

supporto cartaceo
oggetto: frontespizio
incisione calcografica
21x14

La pagina introduttiva dell'opera dell'astronomo napoletano Francesco Fontana, Novae coelestium, terrestriumque rerum observationes, si presenta inserita in una pregevole cornice architettonica.
Il testo, dato alle stampe nel febbraio del 1646, presso la tipografia napoletana dei Gaffaro (situata in San Biagio Maggiore) risulta di particolare interesse per una ricostruzione dello stato delle ricerche e delle esperienze scientifiche a Napoli, intorno alla metà del XVII secolo.
La prefazione dell'autore offriva alcune importanti informazioni sulla circolazione dei testi scientifici nel Regno e presentava spunti polemici nei confronti di Galileo Galilei, circa il primato relativo alla costruzione del telescopio, rivendicato dallo stesso Fontana; infatti, nel frontespizio della sua opera si legge: "specillis a se inventis". Lo strumento astronomico fu realizzato, secondo lo scienziato partenopeo, sulle basi teoriche dellaportiane, nel 1608. Significativa, in tal senso, la notizia, riportata da Lorenzo Crasso, di alcuni tentativi falliti del Fontana di venire in possesso dei "fragmenti de gli ordigni lasciati dopo la morte di Giovan Battista della Porta", cioè dopo il 1615, evidentemente per fornirsi di strumenti ed attrezzi per l'avvio della sua attività di costruttore di lenti che, iniziata in quegli anni, lo rese ben presto rinomato negli ambienti scientifici di gran parte d'Europa. Numerose testimonianze del tempo confermarono la sua fama di abile artigiano di lenti per telescopi. E' datata, infatti, 30 novembre 1629 una lettera di Fabio Colonna, indirizzata a Federico Cesi, in cui troviamo la prima notizia documentata della costruzione da parte del Fontana del cannocchiale a lenti convesse: "Il sig. Francesco Fontana…ha fatto un cannone di otto palmi, con il quale se ben allo rovescio fa vedere la luna et stelle…" (da Il carteggio linceo della vecchia accademia di F. Cesi); inoltre, nel 1634, Athanasio Kircher citava il Fontana, nella sua Ars Magna Lucis et Umbrae (Roma, 1646; Amsterdam, 1671) come eccellente costruttore di telescopi (dal Carteggio kircheriano). In una lettera del 6 febbraio del 1644, scritta da Evangelista Torricelli a Raffaele Margiotti, una lente per telescopi costruita dal Fontana veniva definita "…il meglio che sia stato fatto tra mille vetri nello spazio di 30 anni" (da Le opere dei discepoli di Galileo Galilei. Carteggio 1642-48).
Per avvalorare l'affermazione del suo presunto primato, relativo all'originalità del telescopio, il Fontana riportava in apertura della sua opera una dichiarazione del gesuita Gerolamo Sirsale che, intorno al 1625, avrebbe visto, assieme a Giovan Battista Zupi, il microscopio e il telescopio in casa sua; giustificava anche la pubblicazione del suo testo, adducendone a motivo le pressioni degli amici, tra le quali è presumibile fossero particolarmente insistenti, almeno durante gli ultimi anni della sua vita, quelle di Fabio Colonna (studioso del mondo vegetale e di quello animale, spesso autore non solo dei testi, ma anche dalle illustrazioni da cui questi ultimi erano compendiati), legato all'autore da una lunga comunanza di studi e di ricerche. Ma, in realtà, Fontana desiderava soprattutto evitare i plagi, non di rado originati dai ritardi nelle pubblicazioni.
L'opera era suddivisa in otto trattati ed esponeva i risultati delle osservazioni ottenute al microscopio e al telescopio dall'autore; questi realizzò personalmente i ventisei rami e le altrettante silografie, che costituivano il corredo iconografico del libro. Per Fontana, la necessità di cimentarsi nel disegno e nell'incisione si imponeva ai fini di un'efficace resa mimetica, che difficilmente avrebbe potuto essere ben realizzata da chi non avesse effettuato personalmente i rilevamenti telescopici. A tal proposito, l'autore si scusava con i lettori di non possedere l'abilità degli incisori fiamminghi, anche se aveva già dato prova delle sue capacità di disegnatore, illustrando i risultati di alcune osservazioni al microscopio per il Persio tradotto (Roma, 1630) dell'accademico linceo Francesco Stelluti e per il Carteggio del Colonna.
Le incisioni in rame, inserite nel testo delle Observationes, riproducono la superficie lunare, vista attraverso il cannocchiale astronomico nella successione delle sue fasi, con l'indicazione della data e dell'ora delle osservazioni in didascalia; per la posizione e le orbite dei pianeti, invece, il Fontana preferì ricorrere alle matrici in legno, capaci di garantire un tratto nitido e, al contempo, dei netti contrasti.
L'opera, attesa dagli ambienti scientifici come portatrice di una radicale svolta nell'astronomia, deluse gran parte delle aspettative per l'assenza di un organico apparato di argomentazioni e per la superficialità delle osservazioni; mancava infatti qualsiasi teoria ottica che desse fondamento scientifico al funzionamento del telescopio e del microscopio, ed il tutto si riduceva ad una mera descrizione tecnica (ad esempio, l'astronomo gesuita Giovan Battista Riccioli nel 1651, pur riconoscendo la qualità degli strumenti costruiti dal Fontana, prese le distanze dalla maggior parte delle "novità" da lui osservate)..
Il frontespizio dell'opera è dominato dal portale con timpano curvilineo spezzato, che funge da degno ingresso all'opera di contenuto astronomico. Nella parte superiore due putti alati reggono uno stemma coronato da una croce poliloba e da un cappello cardinalizio; stemma e copricapo si riferiscono al dedicatario dell'opera, il cardinale Camillo Pamphili. I putti, inoltre, svolgono un lungo cartiglio, su cui sono riportate alcune parole desunte da un versetto dell'Antico Testamento: "Quis enarrabit coelorum rationem" (da Giobbe, 38:…conosci tu le leggi del cielo / o regoli tu il suo influsso sulla Terra?), ed il verso 4 del Salmo 146: "Qui numerat multitudinem stellarum, et omnibus eis nomina vocat" (Egli conta il numero delle stelle e chiama ciascuna per nome). Il salmo, nella versione italiana, è il 147, v. 4. La versione latina lo divide in due, v. 1-11, 12-20, facendone il 146 ed il 147 della sua numerazione e rimettendosi in pari con la numerazione dell'ebraico.
Entrambi di contenuto astronomico, intendevano probabilmente confermare l'inscindibile legame tra le verità di fede, "dettata" dalle Sacre Scritture, e quelle ricavate dallo studio della natura, in considerazione del fatto che esso era minato, in quegli anni, dalle "sovversive" teorie bruniane e galileiane. A tal proposito, è possibile che il Fontana abbia volutamente preso le distanze da Galilei, morto quattro anni prima della pubblicazione delle Observationes, e dalla sua celebre lotta per la separazione fra le verità della fede e quelle ricavate dallo studio della natura, che lo aveva portato addirittura a ricercare la conferma delle verità della nuova scienza nelle Sacre Scritture. Non dimentichiamo che l'astronomo partenopeo fu amico di numerosi gesuiti come Girolamo Sirsale, Giovan Battista Zupi e Giovan Giacomo Staserio, quest'ultimo fiero oppositore della scuola galileiana.
Il tema della piccolezza dell'uomo, insito sia nel salmo sia nel passo di Giobbe, inoltre, potrebbe costituire un implicito e molto velato richiamo alla rivoluzione scientifica. Tale piccolezza dell'uomo nella natura e nell'Universo ribadita dai filosofi "rivoluzionari", infatti, concorderebbe con la piccolezza dell'uomo rispetto a Dio ed alla natura da lui creata, sottolineata anche nell'Antico Testamento. In Giobbe 38 viene esaudito il desiderio espresso dal profeta di discutere direttamente con Dio. La risposta che Dio dà è grandiosa ed in tutto degna della sua maestà; il problema del dolore non viene risolto direttamente, ma inquadrato in una serie vastissima di altri problemi, più complessi ed insolubili per l'uomo. La conclusione che ne scaturisce è che Colui che conosce perfettamente la soluzione di tanti problemi, che lasciano stupito e meravigliato l'uomo, non ignorerà certamente quella del dolore umano. Perciò l'uomo è insipiente quando si ribella a Dio e lo taccia di malgoverno del mondo, dal momento che la sua mente piccola si annega in un intrigo insolubile di problemi e di questioni fisiche, metafisiche e morali. Il discorso si può dividere in tre parti: v. 1-38, meraviglie della natura inanimata; v. 39 ss., meraviglie della vita animale e contrasto con la piccolezza dell'uomo; salmo 40, v. 1-5, effetti che la vista di tanta gloria produce su Giobbe.
Per ciò che concerne il salmo 146, gli ultimi cinque salmi del salterio cominciano con alleluia (= lodate Iahve) [146-147-148-149-150] e costituiscono un gruppetto omogeneo, che è chiamato "il piccolo Hallel" (= lode). Nel salmo 146 (v. 5-10) è cantata la sconfinata potenza di Dio di fronte all'uomo impotente. Egli ha creato e domina sovranamente tutto ciò che esiste; egli mantiene infallibilmente le promesse di misericordia ed è il raddrizzatore dei torti fatti ai deboli. Salmo 147 (nella versione latina 146 composto dai versi 1-11). Soggetto del primo quadro del salmo, v. 1-11, è il Dio pietoso e consolatore; Dio è il medico pietoso che guarisce e fascia le piaghe della sua nazione. Il pietoso consolatore è anche il Dio sublime, che ha creato l'universo, che ha disseminato per gli spazi celesti le stelle secondo il numero prestabilito e regola i loro moti, chiamandole per il suo nome. Nei v. 7-11 dalla grandezza di Dio si sviluppa il Tema della Provvidenza, che dà cibo e vita a tutti, mediante una sapientissima organizzazione del mondo. Nei v. 12-20 (versione latina salmo 147) si dice che attraverso il cosmo la parola di Dio corre rapida come i messaggeri del re, a far eseguire il mandato divino. Egli comanda, ed ecco a bianche falde lanose scendere la neve; la brina diffondersi bianca e lieve come cenere; grandinare il ghiaccio a schegge; la natura irrigidirsi e sospendere l'opera della vegetazione. Anche nel salmo 146, il primo del gruppo, c'è un netto contrasto tra la potenza di Dio e la vanità degli uomini. L'uomo, anche se è un principe, non dispone di scampo, non ha possibilità di far evadere dai mali e dalla morte. Lo stesso concetto è espresso nel salmo 147; Dio onnipotente e sapientissimo è il consolatore degli umili e solo l'empietà ostinata non trova misericordia presso di Lui.
Il motivo cinquecentesco del frontespizio architettonico a portale viene qui alleggerito del suo carattere monumentale, per far spazio a soluzioni di maggiore dinamismo. Esse sono ricche di richiami non solo all'architettura, legata a schemi compositivi tipicamente secenteschi, ma soprattutto al teatro. L'elemento architettonico del timpano curvilineo spezzato (tipicamente cinquecentesco), infatti, si arricchisce di soluzioni ascrivibili alla corrente barocca: la sintesi di scultura e architettura, la tendenza all'ambiguità visiva e alla teatralità rappresentano alcuni degli aspetti peculiari del Barocco. I carnosi putti posti al centro del timpano, comodamente adagiati sulla trabeazione, coniugano idealmente, attraverso le loro ali spiegate, le due volute timpaniche ed appaiono incuriositi dalla scena che si apre nella parte sottostante. Il motivo delle statue, collocate tra le volute del timpano, ricorre con una notevole frequenza nell'ideazione di portali di palazzi, chiese e cappelle, ma anche in scenografiche pareti d'altare, e riscontra un notevole successo nel corso del XVII secolo, soprattutto tra Napoli e Roma. Il drappo che si dispiega tra le due colonne corinzie, su cui sono stampati il titolo prolisso e le informazioni relative all'autore, è posto in sostituzione della tradizionale lapide e, soprattutto, garantisce alla composizione un sicuro effetto scenografico, di impatto teatrale. Il "sipario", alzato all'imperiale, scopre un ideale palcoscenico su cui si muovono numerose figure femminili; esse sono disposte in modo da creare una sorta di triangolo, alla cui base corrisponde una fontana (che allude al nome dell'autore: quest'ultimo è ricorso all'araldica per figurare nella composizione).
Le donne, accompagnate da alcuni attributi iconografici e da esplicite attribuzioni, stampate su fasce che ne cingono i fianchi e le spalle, potrebbero rappresentare le personificazioni allegoriche delle discipline costituenti il Sistema delle arti tardo rinascimentale, in cui risulta forte il nesso tra arte, scienza e tecnica. La presenza di tale sistema, nella pagina iniziale del libro, troverebbe una giustificazione nell'allusione alla pratica astronomica e all'attività di incisore dello stesso autore. Nel contesto, rappresentato dal frontespizio, dunque, ogni disciplina trova la sua giusta collocazione rispetto alle altre: la prospettiva ha il preciso compito di determinare le regole tecniche, per mezzo delle quali costruire un disegno esatto, quando siano dati l'oggetto e la posizione dell'occhio; essa necessita, inoltre, di una buona conoscenza della geometria e della matematica. Di quest'ultima si riconosce non solo il valore filosofico astratto, in quanto espressione della divina armonia dell'universo, ausilio indispensabile di numerose discipline, come la cosmografia, ed oggetto di studio della filosofia, ma anche l'apporto essenziale alla stessa creatività artistica. L'astronomia, nell'ambito dell'interconnessione generale dei fenomeni, trova la propria ragione d'essere nello studio delle influenze esercitate dagli astri sulle vicende e sulle attività umane. L'armonia universale, infine, è esemplificata attraverso gli strumenti musicali, alcuni degli innumerevoli attribuiti della poesia (l'autore del frontespizio, infatti, ricorre all'allegoria della poesia accompagnata dagli strumenti musicali e non a quella che la ritrae in compagnia di tre fanciulli, che rappresentano le …tre maniere principali di poetare, cioè Pastorale, Lirico & Heroico).
E' evidente che qui l'ideatore dell'opera abbia fatto ampio uso dell'Iconologia di Cesare Ripa, riproponendo fedelmente gli attributi che il noto perugino aveva assegnato alle allegorie del suo prodigioso repertorio. Nel nostro frontespizio, infatti, la Geometria reca con sé un triangolo ed un compasso: "Donna, che tenga in una mano un perpendicolo, e con l'altra un compasso: nel perpendicolo si rappresenta il moto, il tempo, & la gravezza dei corpi: nel compasso la linea, la superficie, & la profondità, nelle quali consiste il general suggetto della Geometria". La Matematica, una giovane donna alata, regge con la mano sinistra un globo terrestre, su cui sono rappresentate le ore ed i cerchi celesti e con la mano destra impugna un compasso, col quale descrive una circonferenza su una tavoletta sostenuta da un putto: "…il compasso è l'instromento proprio, & proportionato di questa professione, & mostra che ella di tutte le cose dà la proportione, la regola, & la misura. La palla con la descrittione della terra, & con le zone Celesti, danno inditio, che la terra nel misurar delle quali si va scambievolmente, non haverebbono prove, se non di poco momento, quando non si sostentassero, & difendessero con le ragioni matematiche. Il fanciullo, che sostiene la tavola, & attende per capir le dimostrative ragioni, c'insegna, che non si deve differire la cognitione di questi principij à altra età, che nella puerile…". La Cosmografia è intenta a descrivere una figura geometrica per mezzo di un compasso; la Poesia è coronata d'alloro ed è accompagnata da alcuni strumenti musicali: "Donna vestita del color del cielo, nella sinistra mano tenga una Lira, & con la destra il Plettro, sarà coronata d'alloro…". La Filosofia è posta al centro dell'ideale emiciclo, di spalle, indossa un vestito strappato in più punti e regge un libro: "Donna giovane, e bella, in atto d'haver gran pensieri, ricoperta con un vestimento stracciato in diverse parti, talché n'apparisca la carne ignuda in molti luoghi, conforme al verso del Petrarca usurpato dalla plebe, che dice Povera, e nuda vai Filosofia". L'Architettura tiene fra le mani alcuni strumenti per la misurazione, quali il filo a piombo, la squadra e l'asta graduata. L'Astrologia (l'Astronomia - un tempo non disgiunta dall'Astrologia - ha per attributo, dai tempi di Marziano Capella in poi, il globo. Come la Geometria, può essere raffigurata in atto di misurarlo con un compasso; suo attributo specifico è il sestante, usato in origine per misurare l'altezza degli astri; talvolta ha tra i suoi strumenti la sfera armillare. Gli stessi attributi di questa figura allegorica competono anche ad Urania, Musa dell'Astronomia), intesa evidentemente come astrologia sferica (1), è una figura alata, coronata di stelle, che indossa una veste stellata e reca con sé un globo celeste ed un libro aperto, su cui sono rappresentati i simboli di alcuni pianeti. "Donna vestita di color ceruleo. Avrà le ali agli omeri. Nella destra mano terrà un Compasso, e nella sinistra un Globo Celeste. Vestiti di color ceruleo, per dimostrare, che questa scienza è posta nella contemplazione de' Corpi Celesti. Se la dipinge il Globo Celeste col Compasso, per essere proprio il suo misurare…agli omeri avrà le ali, per dimostrare che ella sta sempre col pensiero elevato in alto, per sapere ed intendere le cose celesti" (la corona di stelle e la veste stellata sono attributi che di norma caratterizzano la figura di Urania; il libro, simboleggia l'atteggiamento teorico nei confronti dell'astronomia). La Prospettiva, infine, regge con la mano destra uno specchio, da cui emerge un volto riflesso, e con la sinistra un libro sul quale si intravede la scritta Ptolomoei: "Donna di bellissimo viso, & gratioso aspetto…tenga con la destra mano, Compasso, Riga, con Squadra, un Piombo pendente, & uno specchio, & la sinistra due Libri con l'inscrittioni di fuori, ad uno Ptolonoei, & all'altro Vitellionis…nello specchio le figure rette si riflettono, & perche questa scienza di luce retta, & di riflessa servendosi, fa vedere di belle meraviglie, per tanto in segno si è posto lo specchio. E risedendo le scienze nelli scritti de famosi huomini, si sono dati à questa figura l'opere di due Auttori onde tal scienza si rende ben manifesta…".
Il dinamico sistema spaziale è caratterizzato dalla convergenza della composizione verso il lettore-fruitore, avente come asse, prospettico e simbolico, l'unica figura posta di spalle, la Filosofia, madre di tutte le arti. E' interessante notare come le numerose figurazioni allegoriche di scienze ed arti esprimano, nella posizione e nell'atteggiamento, il rapporto di collaborazione e complementarità rispetto ad essa.

(1) I termini astronomia ed astrologia furono praticamente usati come sinonimi per lungo tempo. Durante tutto il tardo Medioevo ed ancora nel Rinascimento la sinonimia continuò fino a che non fu adottata la distinzione tra l'astrologia sferica, che studiava i moti degli astri, e l'astrologia iudiciaria, che studiava invece i "giudizi" pronunziati dai corpi celesti intorno alle cose terrene. Quest'ultima, cioè la scienza degli influssi celesti e delle conseguenti norme per prevedere il futuro, fu condannata da Sisto IV con la bolla "Coeli et Terrae Creator" (in cui si proibivano anche usura e accattonaggio), condanna ribadita da Urbano VIII nel 1621. Nel corso del XVII secolo, dunque, l'astronomia, ormai scissa dall'astrologia, si trasformò da arte liberale in scienza, basata su esperienze e leggi fisiche, spogliandosi di quella componente mitica che l'aveva accompagnata per secoli.